ANCH'IO STO INVECCHIANDO
Carissimi Parrocchiani, sono il vostro antico, fedele CAMPANILE. Conosco tutto di voi! Ricordo tutti quanti con gioia e nostalgia, dal primo all’ultimo; sono il testimone silenzioso di tanti battesimi, prime comunioni, matrimoni, delle esequie di chi negli anni ci ha lasciato, delle vostre preghiere.
Vi ho sempre dolcemente accompagnato col suono delle mie campane. Ho passato secoli qui, fin dai tempi di Pazzino de’ Pazzi in partenza per la terza crociata! Ricordo i Frati Umiliati, le Suore Agostiniane, i Demidoff, ricordo poi il caro Don Bencini e tutti i Parroci che mi hanno custodito. Siete tutti nel mio cuore!
Oggi mi trovo circondato, direi quasi soffocato dalla modernità delle grandi opere dell’uomo. Ormai sono poco visibile, quasi nascosto tra gli alti palazzi del quartiere di Novoli.
Negli ultimi mesi mi sono accorto che i segni del tempo mi hanno particolarmente colpito, in fondo anch’io sono invecchiato. Ho pensato allora di “lanciare”(!) a terra qualche innocuo ma significativo segnale della mia vetustà a padre Giuliano il quale, insieme a padre Lwanga, ha raccolto l’invito di questo vecchio campanile, condividendo il problema con il “CPAE” (Consiglio Parrocchiale Affari Economici ).
La soluzione che abbiamo intrapreso tiene conto delle attuali agevolazioni fiscali, che consentono al pur modesto bilancio parrocchiale di affrontare con una certa serenità tutte le spese del restauro, comprese alcune altre opere accessorie. Nei prossimi mesi del 2021 mi vedrete pertanto ancora più “nascosto”, coperto da un vistoso cappotto di impalcature, ma presto tornerò ad essere ancor più bello, ed a proteggervi affettuosamente in sicurezza.
Settembre 2021
Carissimi Parrocchiani, mi riconoscete?
Eccomi! Sono sempre io! Mi hanno tolto un po' alla volta tutte le impalcature ma sono sempre il vostro antico, fedele CAMPANILE rimesso a nuovo, ancor più bello e solido pronto per continuare a vegliare su di voi e le vostre famiglie ed a ricordarvi, con il rintocco delle campane, di ritrovarvi tutti insieme alla santa Messa. Ciao!
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BANDIERE SUL CAMPANILE
MARTEDì 2 FEBBRAIO 2016
Festa della Consacrazione della Chiesa a San Donato
Oggi ricordiamo il giorno in cui la nostra Chiesa fu consacrata a Dio in onore di S.Donato, dal vescovo Gerardo, Patriarca di Ravenna il 2 febbraio dell’anno 1188; allora si chiamava San Donato alla Torre.
In quel giorno si radunò molta gente nella piana, perché Gerardo consegnava ai fiorentini la veste crociata, per la partenza da qui della terza crociata. Il priore Bono consegnò ai crociati lo stendardo di San Donato che sventolava sulla chiesa.
Per ricordare il fatto storico sventolano sul campanile quattro stendardi:
1. quello dei crociati che partirono dalla nostra chiesa;
2. in antitesi ad esso quello che reca l’ulivo simbolo della pace (il simbolo fu voluto da Don Bencini per ricordare che la pace è il bene più impor-tante e che non si fanno guerre in nome di Dio come anche le vicende odierne ci segnala-no);
3. quello che porta impresso lo stemma del monastero di S.Donato, in omaggio alle monache cistercensi che adornarono di affreschi la chiesa,
4. quello con lo stemma dei Demidoff, che per circa 60 anni abitarono in San Donato e almeno in parte salvarono la chiesa.
Lo stemma dei Demidoff che ha subito negli anni varie versioni è costituito da un grande scudo sormontato da una corona, simbolo nobiliare russo. Al centro dello scudo sono presenti tre verghe (strumento utilizzato per la ricerca dei metalli ), un martello da minatore (come simbolo delle miniere degli Urali possedute dai Demidoff, sorgenti delle loro enormi ricchezze elargite anche alla città di Firenze) e una fascia dorata (anch’essa simbolo della dignità nobiliare dei Demidoff).
Ai lati dello scudo sono presenti due grandi croci greche (stemma della città di Firenze) e due gigli argentei (simbolo del comune di Firenze). Il titolo di Principi di S.Donato fu concesso ai Demidoff dal Granduca di Toscana Leopoldo II per le grandi opere di beneficenza attuate da essi a favore di Firenze, tanto da ricevere l’apposizione di una formella sulla facciata del Duomo di Firenze per i contributi economici elargiti per i lavori effettuati su di essa.
Il modo di vivere frenetico di oggi ci rende così frettolosi e distratti che neppure ci ricordiamo di possedere un così prezioso campanile: piccolo, ma tanto significativo per la sua storia. Ci passiamo sotto e spesso non lo guardiamo.
Oggi, festa della chiesa, non è possibile ignorarlo: vogliamo ricordarne il valore, a partire dai tempi in cui rappresentava un segno vitale di riferimento fra i pochi di questa zona.
Quotidianamente, con i rintocchi delle campane o quando è esaltato dalle luci e dai colori delle bandiere della festa, ci richiama e si fa sentire presenza viva.
Ne possiamo esser fieri!
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DON FRANCO BENCINI
UN UOMO, UN COSTRUTTORE DI COMUNITÀ, UN FEDELE PASTORE
Testimonianza del Cardinale Silvano Piovanelli:
Don Franco Bencini era un prete singolare. Difficilmente lo vedevi in giro. Anche nelle riunioni dei sacerdoti. Ma in parrocchia lui c’era sempre.
La parrocchia era la sua casa, la sua famiglia.
Ricordo l’impressione che sempre mi ha fatto tutte le volte che sono stato a celebrare per il sacramento della Cresima nella sua chiesa, così bella nelle sue linee purissime e nei suoi affreschi trecenteschi, che ci ricordano antichi splendori monastici.
Don Franco aveva preparato tutto con grande precisione e tutto si svolgeva nella nuda essenzialità del rito e nella attenta partecipazione dei presenti. Mi accorgevo che lui guardava con fierezza i giovani cresimandi, come un padre guarda i figli di cui è contento. Avevo l’impressione netta di un cammino lungo e soprattutto accurato e preciso di preparazione. A don Franco premeva, al di là delle forme esteriori, la sostanza della fede.
Ha lavorato per tutta la vita – una vita lunghissima se si pensa che era a San Donato in Polverosa come parroco dal 1964 – perché la sua chiesa ritornasse a quella bellezza, semplicità e libertà di forme che aveva avuto nei tempi antichi. E in questo campo, di strada don Franco ne ha fatta tanta. Anche gli ultimi restauri, le ultime liberazioni dell’edificio sacro, realizzati dopo la sua partenza, sono il frutto del suo lavoro e della sua passione.
Ma soprattutto don Franco ha compiuto quel lavoro pastorale che non risalta agli occhi, tu non misuri a metri: don Franco ha voluto bene alla sua gente. E la sua gente ha capito. Soprattutto quando egli ha lasciato a causa dell’età e della malattia, la gente ha avvertito il vuoto, si è resa conto di quanto egli era importante a San Donato in Polverosa. Del resto questo San Donato è rinato con lui. Il Card. Ermenegildo Florit ha firmato il decreto che ricostituisce la parrocchia dopo un plurisecolare abbandono il 1 giugno 1963.
Da ogni punto di vista – giuridico, materiale, spirituale – quello che è la comunità di San Donato in Polverosa, lo deve a don Franco.
La gente giustamente lo ha nel cuore e don Franco, con il suo modo burbero e diretto, continua a dire a tutti di continuare a crescere per essere uomini e donne sinceri, impegnati a camminare seriamente sulle vie della storia e uomini e donne di fede che camminano nella luce del V angelo ed offrono così nelle loro vite la testimonianza luminosa di Gesù Risorto e Vivente” (25 marzo 2010).
Testimonianza di alcuni parrocchiani della prima ora:
Nell'estate del 1963 don Bencini (DonBe per chi lo frequenta) entra per la prima volta nella Chiesa di san Doanto, divisa in due parti a livello del transetto. L'unico stanzone disponibile per Messa, è il deposito di olii combustibili, che viene ripulito e coperto nel tetto con stoffa di juta con l'aiuto di vari ragazzi che lo seguono da san Gervasio. In questo periodo la camera da letto del DonBe è un colonnato del transetto dove i pipistrelli hanno libero accesso in ogni notte. Gli aiuti economici sono modesti, ma alcuni sacerdoti amici lo aiutano come possono (primo tra essi, è don Bensi). Nel Natale '63 la Chiesa è aperta al culto. Durante l'inverno l'unica sorgente di calore sono le assi del pavimento della biblioteca nella quale è stata da tempo trasformata la navata centrale della Chiesa: ogni sera chi vuole sega con lui progressivamente tutto assito e allestisce una camerina da letto sotto il campanile. Il campanile non ha più campane, ma il DonBe inizia la raccolta di tutto il rame disponibile che viene sfilato della guaina e servirà come merce di scambio per avere la prima campana.
Il prete “muratore” prosegue la sua opera in compagnia dei primi ragazzi della parrocchia, dei “vecchi” di san Gervasio e di tanti parrocchiani che osservano il lavoro del nuovo parroco e sono coinvolti progressivamente dal suo zelo. Nel '66, dopo l'alluvione di Firenze, viene allestito un asilo nell'area Fiat, costituito da mensa, due aule e servizi (con tanto di riscaldamento centrale) grazie alla donazione del comune di due grossi capannoni metallici giacenti senza impiego; tutto l'allestimento dell'asilo, pressoché unico nella zona, è assicurato dai parrocchiani che lo gestiscono (insieme al campetto da calcio) fino al ritiro del permesso nel '69-'70 da parte della direzione della Fiat. Nel contempo prosegue il recupero della chiesa, con l'abbattimento del muro della navata, la ricostruzione dell'abside, lo svuotamento delle cantine, la costruzione della canonica, la messa in opera del riscaldamento della chiesa (che va a sostituire le stufe catalitiche a gas). Tutto il materiale di risulta è ingente e viene rimosso nottetempo con l'impiego di un Ape usata che lo trasporta alle Piagge, con l'aiuto di volontari insonnoliti che dalle 23 alle 24 lo accompagnano nei numerosissimi viaggi.
Per molti anni viene allestito un cinema parrocchiale per bambini che proietta pellicole domenicali; il catechismo domenicale delle ore 10 è il momento di maggior contatto con i ragazzi, ai quali vieni fatto conoscere con entusiasmo il senso delle sacre scritture. Pur con mezzi rudimentali (duplicatori ad alcool) inizia fra i primi a stampare il libretto della Messa, terminando quasi sempre il testo pochi minuti prima della messa domenicale ed avendolo composto nella nottata. Nel '95, ancora con un atto di compra-vendita personale e successiva donazione alla curia (metodica scelta più volte dal "DonBe" per accelerare le procedure e i risultati), la chiesa acquisisce l'aspetto definitivo con l'inaugurazione del 1997.
I parrocchiani che incontra nell'espletamento dei sacramenti restano ben impressionati dal rapporto con sacerdote che è sempre incisivo, coerente ed essenziale. Si interessa particolarmente delle persone che più hanno bisogno di guida e che sembrano più lontane dal Vangelo. Molti di quelli che già percorrono un sia pur tiepido cammino religioso, si sentono scarsamente coinvolti e non riescono ad integrarsi.
Qual'è il messaggio di questo sacerdote rigido e severo, innanzitutto con se stesso, e nel contempo sensibile pastore, con i contrasti del profeta inserito in un tempo di grandi cambiamenti, che con lucidità indica il percorso da seguire senza voltarsi indietro?
Ognuno di noi ricorda i difetti e i valori del nostro parroco, essendo tuttavia ben consapevole che don Franco non è mai sceso a compromessi ed ha sempre lavorato con caparbia tenacia per tutti gli anni che ha potuto, senza risparmiarsi.
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SAN DONATO DI AREZZO: vescovo e martire
7 AGOSTO 362
Donato era originario di Nicomedia (oggi Ismit o Kocael in Turchia) residenza dei vari imperatori romani del tempo. La storia afferma che in tenera età, Donato venne portato a Roma dove fu educato e fatto chierico per mezzo del Sacerdote Pimenio. Durante gli studi, conosce il suo compagno Giulio Costanzo Giuliano, fratello dell'imperatore Costantino.
Pier Damiani commenta così quell'amicizia: "Ecco che nel campo del Signore crescano insieme due virgoluti, ma uno diverrà cedro del paradiso, l'altro carbone per le fiamme eterne". Infatti, Giulio, dopo essere stato fatto imperatore nel 354 d.C., rinnega la sua fede e accusa tutti i cristiani di essere la causa della decadenza dell'impero romano. Giulio chiede la restituzione di tutti i beni che il fratello Costantino aveva elargito alla popolazione cristiana e, riaprendo i templi pagani, avvia la persecuzione contro i cristiani. Con la persecuzione Donato è costretto a scappare da Roma rifugiandosi nella città di Arezzo, dove venne accolto dal monaco Ilariano. Donato viene subito avviato alla vita della preghiera, della penitenza facendo da portavoce della Chiesa in mezzo al popolo di Arezzo. Tra di esso compie svariate conversioni e svariati prodigi, come quello di far riacquistare la vista ad una cieca di nome Siriana oppure quella di liberare dal demonio il figlio del Prefetto della città. Un fatto importante si verifica quando un esattore delle tasse affida il suo denaro alla moglie per custodirlo, ma quest'ultima, di nome Eufrosina, dopo aver nascosto il denaro, muore e l'esattore non riesce più a trovare la somma nascosta. Donato interviene nel riportare alla luce la moglie e recuperare il denaro smarrito. Viene nominato sacerdote dal Vescovo Satiro e, alla sua morte, viene nominato, dal Papa Giulio I, Vescovo di Arezzo. Nel suo operato di Vescovo si incontrano molti avvenimenti importanti, come la conversione di molti pagani delle campagne, i nuovi prodigi e la sua popolarità tra la gente della città di Arezzo. Durante una celebrazione eucaristica, nel momento della Comunione, irrompe nella Chiesa un gruppo di pagani che getta a terra il calice che conteneva il vino sacro distribuito dal diacono Antimo, mandandolo in mille pezzi. Nella Chiesa c'è un'aria di sconvolgimento generale. Donato, dopo un intensa preghiera, si inginocchia, raccoglie tutti i pezzi del calice, e lo ricostruisce. Purtroppo il calice era privo di un notevole pezzo sul fondo della coppa, ma continuava a svolgere la sua funzione di raccoglitore del sangue di Cristo. Per questo avvenimento, si convertirono alla Chiesa ben 79 pagani. Il governatore della città di Arezzo, ordina l'arresto di Donato e del suo monaco-maestro, Ilariano. Il giorno seguente, Quadraziano, cerca di far rinnegare la fede in Cristo a Donato, ma egli non accetta e viene ripetutamente percosso con delle pietre al volto. In questo momento di dolore e sofferenza, Donato rivolge delle parole al Signore: "Tu Scis, Jesu Christe Domine, quia hoc semper optavi, pati et mori pro Te" - "Voi sapete, o mio Signore Gesu Cristo, che nessuna altra cosa ho io più desiderata sulla Terra che patire e morire per voi". Un mese dopo questo evento, Quadraziano fa giustiziare i due religiosi; il monaco Ilariano nella città di Ostia il 16 luglio, mentre il Vescovo di Arezzo, viene giustiziato con la decapitazione, il 7 agosto del 362 d.C. all'età di 30 anni circa. Donato venne riposto in un feretro fuori dalle mura della città. Solo al termine della Cattedrale di Arezzo, iniziata nel 1278 e terminata solo nel 1510, il feretro di Donato venne posto nell'arcata trecentesca realizzata da Giovanni Fetti, aretino, e Betto di Francesco, fiorentino. Prima di essere depositato nella Cattedrale, il feretro venne custodito nella cappella fatta costruire in suo onore dal Vescovo successore di Donato, Gelasio. Quando ci fu la sua seconda traslazione in Cattedrale, avvenne una solenne cerimonia in sintonia con la maestosità della nuova struttura cristiana. Un documento dell'epoca riporta questi scritti: "Nell'ora più avanzata della notte entrarono nella Cattedrale i Prelati e, scesi nel sepolcro del santo e levato la sovrapposta lapide, lo trovarono vestito degli abiti pontificali, secondo il rito cattolico, e giacente su di una pietra ove erano incise queste parole: questo è Donato Vescovo e Martire di Cristo. Teneva la sacra testa fra le mani sul petto ed al suo fianco la patena di vetro di cui era solito servirsene nel Sacrificio della Messa e che fu da lui miracolosamente restituito alla forma primitiva e conservato a perpetua memoria di lui, dai suoi accessori". I giorni seguenti un grande pellegrinaggio verso la Cattedrale interessa la città. La gente comune arrivava da tutta la Toscana per far visita alle reliquie del Santo Vescovo della città di Arezzo. I pellegrini aumentarono la loro intensità quando, in Toscana, i prodigi in suo nome, divennero numerosi e consistenti, al punto che molta gente si convertì al Cristianesimo. Da quei giorni sono passati ormai quasi 1000 anni, ma il 7 agosto di ogni anno, la città di Arezzo, si raccoglie nella solenne Cattedrale per rievocare la memoria del Santo Patrono Donato. Il giorno del 7 agosto è un giorno solenne e di devozione. I negozi si chiudono, le attività si interrompono e le celebrazioni in cattedrale sono più solenni. Ha salvato un bambino dall’epilessia.
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CHIESA SAN DONATO IN POLVEROSA
BREVE EXCURSUS STORICO
Correva l’autunno del 1187 quando Gerusalemme e il Santo Sepolcro furono riconquistati dai musulmani. L’Occidente, attraverso i principali re, reagì a questa perdita e le grande potenze si apprestarono a organizzare la terza crociata, sotto il pontificato di Papa Clemente III. Il legato del Sommo Pontefice per l’invio della crociata fu il vescovo di Ravenna, Gerardo; come luogo di partenza per i crociati fiorentini fu scelto San Donato alla Torre. All’occasione, il 2 febbraio 1188, la chiesa fu solennemente consacrata dal vescovo Gerardo. La terza crociata non portò a buon fine i suoi obbiettivi.
È questo, forse, uno dei momenti storici più rilevanti della Chiesa di San Donato in Polverosa (anticamente chiamata San Donato alla Torre); la testimonianza ne è la festa patronale della chiesa, festeggiata ogni anno il 2 febbraio, giorno della sua consacrazione. L’origine della chiesa risale a poco prima dell’anno 1000 quando, secondo un’antica leggenda, una principessa pagana arrivò in questi luoghi; convertita, comprò il terreno, lo fece disboscare e vi costruì una casa con una chiesa e una torre. Alla sua morte, come lasciato nel testamento, dalla sua casa fu costruito un monastero a cui andarono tutti i suoi beni.
Inizialmente, il monastero apparteneva ai Canonici Agostiniani Portuensi, detti “Polverosi” per il colore del loro saio. Verso 1239, il monastero viene concesso dal vescovo di Firenze ai Frati Umiliati; dopo quasi vent’anni passò alle Monache Agostiniane di Santa Cristina, che successivamente scelsero di diventare cistercensi. Nel 1322 avviene una cessione alle cistercensi di San Donato del monastero di Santa Maria Maddalena delle Convertite, situate in Borgo Pinti; le suore “Convertite” lasciarono subito il monastero di Borgo Pinti e si recarono a San Donato. I rapporti tra i due monasteri saranno sempre intensi. Nel 1628 il monastero di Borgo Pinti sarà invece occupato dalle suore carmelitane, cambiando il nome in Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (monastero occupato oggi dalla comunità degli agostiniani dell’assunzione). Le monache restarono a San Donato fino al 1809, all’atto cioè della soppressione degli Istituti Religiosi operata dai francesi; lasciato in abbandono dai nuovi proprietari, il monastero fu comprato dal principe Nicola Demidoff, che vi costruì la sua residenza, una grande villa neoclassica.
Negli anni 1960, attraverso dei doni e acquisti, la chiesa, il campanile e altri piccoli spazi passano in proprietà della nuova parrocchia San Donato in Polverosa. Don Franco Bencini, il nuovo parroco (dal 1963 al 2003) si dedicò molto alla costruzione, materiale e spirituale, della nuova parrocchia. Il suo lavoro fu fedelmente portato avanti, dal 2003 al 2009, da Don Wieslaw Olfier.
Nel novembre 2009, la parrocchia fu affidata dal vescovo di Firenze, Mons. Giuseppe Betori, alla comunità Agostiniani dell’Assunzione, nominando parroco padre Giuliano Riccadonna e vice-parroco padre Lucian Dinca.
Oggi parroco e vice-parroco sono padre Giuliano Riccadonna e padre Joseph Tsongo.
aggiornamento luglio 2024
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