GIOVANI in CORDATA VERSO la META
Cronaca di un’avventura sulle Alpi Apuane in mezzo alla nebbia e alla pioggia
di Matteo Manna
Queste righe vogliono raccontare la gita che abbiamo effettuato sulle Alpi Apuane.
Era la mattina di Sabato 27 Aprile, alle ore 7.00 arrivo alla Chiesa di San Donato in Polverosa, secondo gli accordi che avevo preso con il resto della comitiva e da qui inizia il mio viaggio; ad affrontare questo cammino eravamo in 4: io, Padre Giuliano, Simone e Tatiana; in realtà saremmo dovuti essere molti di più, ovvero il gruppo dei ragazzi che ogni 15 giorni si ritrovava la sera, per tutto l’inverno, a San Donato; purtroppo gli altri nostri compagni -causa complicazioni varie legate ad impegni lavorativi ed una serie di eventi sfortunati- non hanno potuto intraprendere con noi questa esperienza.
Partiamo alla volta di Levigliani, il paesino alle pendici del monte Corchia, nel comune di Stazzema, da dove avremmo iniziato la nostra scalata.
Arriviamo al paese alle ore 10 circa, dopo una breve colazione fatta in un bar, intorno a gente che preparava il locale per un matrimonio, facciamo i biglietti per il museo del Lavorare Liberi e per l’Antro della Corchia. Nel museo ammiriamo gli attrezzi che usavano nell’800 gli operai nelle cave per estrarre il marmo dalle montagne, oltre a questo, il museo mostra anche tutti i tipi di marmo che si trovano sulle Alpi Apuane. Già a guardare gli attrezzi appesi ci si rende conto di quanto duro e pericoloso potesse essere allora questo lavoro; su alcuni pannelli erano raccontate le storie di alcuni di questi lavoratori e delle foto ci portavano con immediatezza alla povertà ed al sacrificio di questi uomini isolati dal mondo che, in questo difficile lavoro, trovavano l’unico modo per il sostentamento delle loro famiglie.
Dopo il museo è stata la volta dell’Antro della Corchia, denominata anche Bocca di Eolo a causa di una corrente di aria fredda che proviene dalla caverna stessa che si estende per circa 60 chilometri sotto la montagna. Nonostante si tratti di una caverna lunghissima, è possibile visitarne l’interno in quanto esiste un percorso di 2 chilometri percorribile in circa 2 ore. Certo il cammino non è proprio agevole in quanto è costituito da scale che scendono e salgono, cunicoli strettissimi con stalattiti ad altezza della testa e acqua che ti cade a cascata addosso! La grotta è di tipo carsico ovvero si è formata col susseguirsi dei millenni col solo passaggio dell’acqua che a poco a poco l’ha plasmata come noi oggi la vediamo. Due sono le cose che secondo me rendono unica la caverna: una enorme roccia, dove prima scorreva una cascata, che ha la forma di un falco pronto a spiccare il volo e il Lago del Venerdì, un lago costituito da acqua “fossilizzata”, ovvero acqua accumulata lì da secoli e secoli e che rimarrà in quel punto poiché la roccia del fondo è ormai satura e non può più assorbirne ulteriormente. L’acqua che scorre nelle cascate della caverna è potabile e chiunque in teoria potrebbe berla in quanto è il prodotto di un lungo processo di filtrazione operato dai diversi strati di terreno sull'acqua piovana. [clicca su leggi tutto..]
GIOVANI in CORDATA VERSO la META
Cronaca di un’avventura sulle Alpi Apuane in mezzo alla nebbia e alla pioggia
di Matteo Manna
Queste righe vogliono raccontare la gita che abbiamo effettuato sulle Alpi Apuane.
Era la mattina di Sabato 27 Aprile, alle ore 7.00 arrivo alla Chiesa di San Donato in Polverosa, secondo gli accordi che avevo preso con il resto della comitiva e da qui inizia il mio viaggio; ad affrontare questo cammino eravamo in 4: io, Padre Giuliano, Simone e Tatiana; in realtà saremmo dovuti essere molti di più, ovvero il gruppo dei ragazzi che ogni 15 giorni si ritrovava la sera, per tutto l’inverno, a San Donato; purtroppo gli altri nostri compagni -causa complicazioni varie legate ad impegni lavorativi ed una serie di eventi sfortunati- non hanno potuto intraprendere con noi questa esperienza.
Partiamo alla volta di Levigliani, il paesino alle pendici del monte Corchia, nel comune di Stazzema, da dove avremmo iniziato la nostra scalata.
Arriviamo al paese alle ore 10 circa, dopo una breve colazione fatta in un bar, intorno a gente che preparava il locale per un matrimonio, facciamo i biglietti per il museo del Lavorare Liberi e per l’Antro della Corchia. Nel museo ammiriamo gli attrezzi che usavano nell’800 gli operai nelle cave per estrarre il marmo dalle montagne, oltre a questo, il museo mostra anche tutti i tipi di marmo che si trovano sulle Alpi Apuane. Già a guardare gli attrezzi appesi ci si rende conto di quanto duro e pericoloso potesse essere allora questo lavoro; su alcuni pannelli erano raccontate le storie di alcuni di questi lavoratori e delle foto ci portavano con immediatezza alla povertà ed al sacrificio di questi uomini isolati dal mondo che, in questo difficile lavoro, trovavano l’unico modo per il sostentamento delle loro famiglie.
Dopo il museo è stata la volta dell’Antro della Corchia, denominata anche Bocca di Eolo a causa di una corrente di aria fredda che proviene dalla caverna stessa che si estende per circa 60 chilometri sotto la montagna. Nonostante si tratti di una caverna lunghissima, è possibile visitarne l’interno in quanto esiste un percorso di 2 chilometri percorribile in circa 2 ore. Certo il cammino non è proprio agevole in quanto è costituito da scale che scendono e salgono, cunicoli strettissimi con stalattiti ad altezza della testa e acqua che ti cade a cascata addosso! La grotta è di tipo carsico ovvero si è formata col susseguirsi dei millenni col solo passaggio dell’acqua che a poco a poco l’ha plasmata come noi oggi la vediamo. Due sono le cose che secondo me rendono unica la caverna: una enorme roccia, dove prima scorreva una cascata, che ha la forma di un falco pronto a spiccare il volo e il Lago del Venerdì, un lago costituito da acqua “fossilizzata”, ovvero acqua accumulata lì da secoli e secoli e che rimarrà in quel punto poiché la roccia del fondo è ormai satura e non può più assorbirne ulteriormente. L’acqua che scorre nelle cascate della caverna è potabile e chiunque in teoria potrebbe berla in quanto è il prodotto di un lungo processo di filtrazione operato dai diversi strati di terreno sull'acqua piovana.
Visitato l’antro ritorniamo a Levigliani dove pranziamo e successivamente, dopo una cioccolata calda per raccogliere le ultime energie, alle 14.30 iniziamo la nostra scalata verso il Rifugio del Freo, situato presso la Foce di Mosceta, esattamente a 1180 metri sopra il livello del mare. La scalata, in teoria, sarebbe dovuta durare due ore, ma la nostra è durata due ore e mezzo anzi, non mi vergogno nel confessare che ci abbiamo impiegato quasi tre ore, sia per il tempo avverso con pioggia mista a forte vento che ci ha colpiti mentre eravamo sulla mulattiera scavata sul crinale della montagna, sia per il poco allenamento di determinati soggetti (il sottoscritto). La scalata è stata da subito durissima, più si saliva più le mie gambe mi imploravano di fermarsi, ma la mia testa aveva preso il sopravvento: non potevamo rimanere lì sul crinale alla mercé del freddo pungente che il vento portava e alla pioggia che non ci dava tregua, in più Padre Giuliano era lì davanti a me, impassibile, tranquillo, sorridente e mai stanco, ad incitarmi di andare avanti, chiamandomi “Gazzella delle Alpi Apuane”. Sì, Gazzella delle Apuane, che detto da una Gazzella reale con scarponi montanari professionali e con muscoli delle gambe nervosi e scattanti come quelli di Padre Giuliano è un bel gran complimento davanti al quale le ginocchia si misero in marcia da sole!
Superata la mulattiera avevamo ancora 40 minuti di camminata nella nebbia fitta, ma per fortuna il percorso era ormai quasi in piano e i dislivelli erano passabili in confronto a quelli già affrontati. Lungo il sentiero abbiamo trovato 2 piccole costruzioni in pietra con dentro testimonianze di caduti sulla montagna; alla fine di tutto questo arriviamo al Rifugio del Freo: una grande casa di montagna color rosso-arancio a metà strada tra la civiltà e la vetta del monte Corchia (1677 metri). Siamo accolti nel rifugio e corriamo immediatamente ad abbracciare la grande stufa che nelle prossime ore avrebbe asciugato i nostri indumenti, infatti eravamo completamente mezzi nonostante avessimo affrontato la salita con giubbotti e impermeabili. Sistemati i bagagli e tutto l’occorrente per la notte ci fermiamo nella Hall dove facciamo la conoscenza della padrona del rifugio, Francesca, di sua sorella Federica e del figlio di quest’ultima, Samuele, che pur avendo solo 10 anni ci ha dimostrato sin da subito di conoscere perfettamente la montagna. Samuele è un grande osservatore, assieme a sua madre ci racconta ciò che ha visto il giorno prima: una enorme aquila ha spiccato il volo dalla boscaglia ghermendo tra gli artigli un piccolo muflone appena catturato e passando proprio sulle loro teste, è sparita veloce nella nebbia.
Conversando arriva l’ora di cena: il menù consisteva in un primo, zuppa o pasta, e un secondo con contorno, carne con polenta e piselli, che abbiamo mangiato avidamente mentre fuori si scatenava una specie di tempesta. Dopo cena, in attesa dello spegnimento del gruppo elettrogeno previsto per le ore 22.00, abbiamo giocato a briscola e a un altro gioco da tavolo portato dal nostro Simone: Star Munchkin, parodia dei celebri titoli cinematografici di fantascienza come Star Wars o Star Trek, in cui abbiamo visto Padre Giuliano non molto a suo agio.
Al termine del gioco, dominato da Tatiana, abbiamo letto i vespri e subito dopo a letto, ed anche se erano solo 22.00 il sonno ci ha preso subito poiché consumati dalla giornata.
Il giorno dopo, verso la tarda mattinata il tempo sembrava volerci dare uno spiraglio di sole, le nuvole e la nebbia sembravano diradarsi, ed è proprio per questo motivo che Padre Giuliano, Simone e Tatiana decisero di andare verso la vetta del Corchia, io invece optai per rimanere al rifugio, a causa delle gambe ancora troppo doloranti per affrontare una salita che sarebbe stata sicuramente più ripida di quella affrontata il giorno prima; in alternativa ho fatto un paio di giri attorno al rifugio per vedere un po’ se riuscivo a vedere qualche muflone, animale molto comune da quelle parti.
La nebbia, nel frattempo stava tornando e con essa un nuovo temporale, io ritornai al rifugio appena in tempo per evitarlo, la stessa fortuna non ebbero gli altri, che furono costretti ad interrompere la marcia verso la vetta. Riunitici tutti e dopo un’altra parziale asciugatura davanti alla grande stufa, abbiamo celebrato una piccola e sentita messa. Con il conforto di una tazza di the caldo abbiamo lasciato il rifugio per ritornare verso la macchina e quindi verso Firenze. La discesa verso la civiltà è stata senz’altro meno traumatica della salita, in più il temporale era cessato e dunque abbiamo potuto godere dello splendido panorama che ci era stato negato il giorno prima a causa della fitta nebbia, della pioggia e del vento. Dopo le due ore di cammino siamo tornati a Levigliani, abbiamo preso il potente mezzo di Padre Giuliano e siamo ripartiti verso la nostra Firenze; durante il viaggio, oltre a parlare con gli altri, nella mia mente ho ripensato a tutte le cose che avevo fatto insieme a loro in quei due intensi giorni: la partenza alle sette, la visita nell’Antro del Corchia, la massacrante salita, il rifugio, la storia del muflone catturato dall’aquila, il freddo, la nebbia e la pioggia…tutti ricordi che rimarranno a lungo nella mia mente come sempre fanno le esperienze che ti toccano l’anima, costringendoti nel silenzio a guardarti dentro.
La Montagna mi ha insegnato una importante lezione: non guardare il cammino tortuoso e impervio che devi affrontare, non importa quanto ci metti, quante volte ti fermi per la fatica o se gli altri ti superano, l’importante è che stringi i denti e vai sempre avanti…sempre avanti in quella strada che conduce alla méta.